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Riflessioni

PROUST e BERGSON

(il Tempo)


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Seconda parte

Dopo aver parlato di “extratemporalità” raggiungibile attraverso l’opera d’arte, Proust presenta, nell’ultima parte de “Il tempo ritrovato”, le caratteristiche della vecchiaia.
Racconta infatti di trovarsi in un salone, per una festa mondana. Da parecchi anni non vi partecipava perciò trova invecchiati sia il padrone di casa sia gli invitati. Gli sembra che tutti abbiano una maschera, un travestimento. Alcuni hanno subito una tale trasformazione (non voluta ovviamente) da sembrare altre persone, lui stesso viene riconosciuto a stento. Altri sono cambiati poco, ma appaiono comunque meno belli, “appassiti”.
La metamorfosi non riguarda solo aspetti fisici ma anche morali, di personalità, di espressione del viso, di idee o considerazioni.
Quelle persone non hanno smesso di essere in realtà ciò che erano ma per riconoscerle è necessario “uno sforzo mentale… bisognava guardarli contemporaneamente con gli occhi e con la memoria…pupazzi che esteriorizzavano il tempo…”.
I cambiamenti rivelano il trascorrere del tempo che agisce sulla materia.
Proust dice di provare angoscia nell’accostare l’extratemporalità (a cui aveva fatto accenno poche pagine prima) all’azione distruttrice del tempo.
Continua osservando che nella memoria abbiamo immagini diverse di una stessa persona, forme diverse, addirittura “conservate da io diversi”. Le persone viste dopo tanti anni sembrano personaggi di sogno, inoltre l’oblìo del tempo fa dimenticare rancori o fatti legati a quelle persone.
Comunque “ la memoria introducendo il passato nel presente senza modificarlo sopprime appunto quella grande dimensione del tempo”.
Proust ripensa a un ricordo lontano (vedi “Dalla parte di Swan”): uno scampanellìo che sa di poter ritrovare scendendo profondamente in sé stesso. Tra quel ricordo e il presente dice che si colloca tutta la sua esistenza, il suo pensare, la sua coscienza, un tempo lungo. L’impressione di “tempo lungo” è suscitata dalla visione della vecchiaia negli altri e in sé. Il momento passato e distante è comunque per Proust ritrovabile interiormente.
Nelle righe finali de “Il tempo ritrovato” lo scrittore dice che noi occupiamo un posto esiguo nello spazio e questo a mio avviso lo collega all’idea di Bergson del tempo quantitativo, cioè inteso come successione in una percezione di tipo spaziale. Ma Proust conclude accennando a un “posto prolungato a dismisura nel tempo” e ciò mi rimanda alla durata interna di Bergson, non misurabile.
Sia Bergson sia Proust invitano quindi a una concezione non convenzionale del tempo e a una ricerca di interiorità in cui solo è possibile collocare lo svolgersi della nostra vita nella sua essenza che, non essendo materiale ma spirituale, va appunto 'oltre il tempo'.

Queste sono le mie riflessioni che gradirei condividere e confrontare con altri, per poterle affinare e migliorare. Se chi ha letto questa pagina è interessato lasci un suo commento. Grazie.

 


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